7 September 1936 died in Tasmania the last known Thylacine, called Benjamin. The species, also remembered as Tasmanian tiger, has been declared extinct since 1936.
Thylacine was a carnivous marsupial; the first fossils are dated to Oligene Era.
Thylacine: from rock paintings to European colonization
Rock painting of Tylachine, Australia
The first presence of the animal has been recognized in Australian mainland in several rock paintings and engravings.
Human colonization of the continent has been dated back 40,000-50,000 BC.
These extraordinary depictions represent how humans and thylacines coexisted for centuries. The Tasmanian Tiger has suffered the colonization, the invasive animals, such as dingoes, and human hunting. Anyway, it wasn't clearly identified the main reason for Tylachine's extinction.
In the 19th Century the animal disappeared from the mainland remaining solely in Tasmania.
Benjamin
Rapidly the animal started to suffer the human hunting. In 1930 the last wild thylacine was killed by a farmer in Western Tasmania.
In 1933 another thylacine was trapped. The animal was called Benjamin and lived for three years in the Hobart Zoo. However, it is disputed whether the tylachine was a male or female.
And now?
From 1936, the animal has been declared extinct. However, many sightings have been reported during the years in Tasmania. Any of them were confirmed. Some Tylachines could be somewhere in Tasmania.
Recently, it was proposed, thanks to modern scientific developments, to clone the animal through species' DNA material. We will see what the scientific community will decide about the Tylachine.
Meanwhile the animal is still present in the Tasmanian coat of arms.
Antoon van Dyck Ritratto del cardinale Guido Bentivoglio, 1623, Firenze, Galleria Palatina
Il 7 settembre 1644 muore a Roma il cardinale Guido Bentivoglio. Un nome, un volto e una storia, che grazie al pennello di Antoon van Dyck che lo immortalò in un sensazionale ritratto, sono stati consegnati all'immortalità.
Il diplomatico Guido Bentivoglio
Bentivoglio nasce a Ferrara nel 1577, discendente della famiglia che nel Quattrocento governò la città di Bologna.
Dopo la formazione universitaria a Padova, fu avviato alla carriera ecclesiastica. All'interno della Curia romana fu apprezzato diplomatico ottenendo notevoli incarichi internazionali.
Il più importante fu certamente l'incarico di nunzio apostolico nelle Fiandre (1607-1615), insanguinate da una furiosa guerra religiosa e civile. Cruciale fu il suo ruolo per la pacificazione dell'area. Un impegno vanificato dalla storia. La guerra nelle Fiandre si concluse, infatti, dopo la morte di Bentivoglio, nel 1648. Dell'esperienza il futuro cardinale scrisse un resoconto nel suo Relazioni in tempo delle nunziature di Fiandra"(1629).
Fu anche nunzio a Parigi per 5 anni (1616-1621). Rientrato a Roma, fu nominato cardinale partecipando a due conclavi e al processo a Galileo.
Ritratto di van Dyck
Nel 1623 a Roma, dopo i lunghi anni all'estero, il cardinale fu ritratto da Antoon van Dyck (1599-1641), all'epoca giovane pittore fiammingo, già allievo di Rubens, che cercava in Italia un aggiornamento stilistico e una consacrazione artistica.
Il Bentivoglio è ritratto a figura intera seduto in vesti ecclesiastiche. Il rosso cardinalizio avvolge la sua figura. Un ritratto di raro lirismo, per la caratterizzazione psicologica del soggetto, di raro realismo e di raro virtuosismo coloristico.
Un eterno omaggio a un diplomatico che si spese per la pace in un Europa martoriata dalla guerra e un superbo saggio della qualità artistica di un artista unico come Antoon van Dyck.
Il ritratto nel 1653 fu donato dalla famiglia Bentivoglio al granduca di Toscana Ferdinando II de' Medici. Oggi è conservato alla Galleria Palatina di Firenze.
Tutti noi conosciamo il carpaccio: "Pietanza costituita da carne cruda tagliata in fette sottili, condita con olio, limone, pepe e schegge di formaggio grana". Questa è la puntuale definizione del Devoto-Oli. Ma perché si usa proprio il termine carpaccio per questa squisita pietanza? L'etimologia di questa espressione è veramente sorprendente.
Harry's Bar a Venezia
Il nome del piatto è relativamente moderno; infatti risale soltanto al 1950. Siamo a Venezia, città di storia, di arte e di alta cucina. Più precisamente ci troviamo al Harry's Bar, famosissimo locale di Calle Vallaresso, fondato nel 1931 da Giuseppe Cipriani.
Cipriani aveva scelto questa intitolazione per il suo locale in onore a Harry Pickering, giovane studente statunitense con problemi di alcolismo, che nei primi anni '30 dimorava, per volere della zia, nella città lagunare e più precisamente all'Hotel Europa. Ed è lì nel facoltoso hotel che Cipriani, all'epoca cameriere, e Pickering s' incontrarono.
Pickering, risolti i problemi di alcolismo, ripartì per gli Usa elargendo a Cipriani una generosa mancia di 30 mila lire. Con quei soldi Cipriani aprì l''Harry's Bar.
Le invenzioni di Cipriani: Bellini, Carpaccio
Cipriani coniugò fin da subito alta cucina, creatività e storia locale innovando la tradizione gastronomica. Nel 1948 creò il cocktail Bellini, a base di Prosecco e polpa di pesca, in onore del pittore Giovanni Bellini (1433-1516), grande maestro della scuola veneziana, per via del suo vivace giallo che richiamava appunto le tele dell'artista.
Due anni dopo nacque il carpaccio. Cipriani, per venire incontro alle esigenze di una cliente che non poteva mangiare carne cotta, decise di proporre un piatto di fini fette di carne cruda. Il marrone della carne ricordò al ristoratore il colore dominante in molte tele di Vittore Carpaccio (1465-1525), artista veneziano celebre per i suoi cicli di teleri, quali quelli alla Scuola di Sant'Orsola, San Giovanni Battista e San Giovanni degli Schiavoni.
Un artista che è rimasto nei secoli nella bocca di molti, grazie anche a Giuseppe Cipriani.
Una straordinaria storia tra arte e gastronomia, eccellenze italiane.
Vittore Carpaccio, Sant'Agostino nello studio, 1502, Venezia, San Giorgio degli Schiavoni
Tra tutte le storie affascinanti che si potrebbero raccontare su quella terra meravigliosa che è l’Irlanda questa è tra le più straordinarie e tra le più particolari. Il riferimento va a una delle esperienze più estreme che il genere umano abbia mai voluto affrontare: vivere in un’isola, Tory Island, di 5 km² a 11 km dalla costa del Donegal, contea dell’ Ulster, nel più profondo nord dell’isola di smeraldo.
Qui, a Tory Island, negli ultimi 50 anni si è sviluppata, in una realtà limitatissima che non arriva a contare i 200 membri, una delle più vibranti comunità di artisti naifs, che non solo per la loro specificità, ma anche per le loro qualità artistiche, hanno esposto a Chicago, Belfast, Londra e Parigi e venduto in importanti aste a cifre considerevoli. Ma prima di presentare la comunità dei pittori isolani, è bene precisare qualcosa sul Donegal, su Tory Island e sui suoi abitanti, per meglio comprendere la tendenza artistica.
L’isola e i suoi abitanti
La posizione di Tory Island
Il Donegal è una contea della Repubblica d’Irlanda (Eire) che fa parte della regione storica dell’Ulster, oggi divisa tra Regno Unito (6 contee conosciute come Irlanda del Nord) e Eire (le restanti 3 contee). Il Donegal è la contea degli estremi e degli opposti. Vi si trova il punto più settentrionale dell’intera isola: Malin Head.
Natura incontaminata, terre selvagge, spiagge dal candore caraibico, spietati venti oceanici e un clima inclemente sono di casa nel Donegal. Dovunque la forza degli elementi è padrona e si respira a pieni polmoni il Sublime della natura.
Il carattere fiero ed aspro dei suoi abitanti è stato forgiato dalle difficoltà e dalla terra alla quale si sono consacrati. Conservano ancora lo spirito ribelle dei loro antenati che furono nemici giurati della dominazione inglese
La lingua irlandese è ancora lingua viva, tanto che più di un terzo della contea è Gaeltacht, area dove la maggioranza della popolazione è di madrelingua irlandese. “Up here it’s different” recita un detto locale ed è proprio vero. Tory Island è la sublimazione di questo spirito selvaggio, ribelle, isolato, ma anche accogliente e profondo.
Tory Island (in irlandese Oileàn Thoraì) si trova a 11 km dalle coste della mainland. I traghetti non sono frequenti e specialmente in inverno si può essere isolati per giorni. Abitata da 4500 anni, è un esempio di tenace resistenza dell’uomo alle prove della natura. Forte è il senso indipendentista degli isolani che da secoli eleggono un loro re (Rì Toraì). Oggi è un ruolo puramente simbolico; il re, infatti, svolge la funzione di portavoce della comunità. Ed è qui, a Tory, che si ritirò a dipingere gli spettacolari paesaggi dell’isola il pittore inglese Derek Hill negli anni ’50.
L’isola e suoi pittori: Derek Hill, James Dixon e il re Patsy Dan Rodgers
Derek Hill (1916-2000), amante dell’Italia e in contatto con Giorgio Morandi e Renato Guttuso, nel 1954 si trasferì a Church Hill nel Donegal. Nel 1958, durante una visita a Tory Island, rimase impressionato dalla luce e dalla natura inesplorata del luogo. Negli anni successivi trascorse lunghi periodi sull’isola a dipingere, coinvolgendo la comunità locale ad appassionarsi alla pittura e ad praticarla. Tra di loro c’era James Dixon.
James Dixon (1887-1970), pescatore e allevatore, all’epoca del suo incontro con Hill aveva 72 anni e aveva trascorso tutta la sua vita sull’isola. Iniziò dipingendo con la vernice per barche e usando il crine del proprio asino come pennello. Le sue opere descrivono la realtà quotidiana degli isolani e i paesaggi aspri di Tory, temprati dalla forza degli elementi in maniera semplice, genuina e diretta. Che grande profondità! Magnifico esempio dell’universalità dell’arte (e dell’arte di arrangiarsi) che porta il suo messaggio anche in una terra così remota e segreta. Ma sicuramente affascinante!
West East Village di James Dixon
Nel 1981 Hill donò allo stato irlandese la sua residenza di Church Hill, Glebe House, dove oggi sono esposte numerose opere dell’artista inglese e la sua collezione privata comprendente anche opere di Picasso, Morandi e Guttuso. Alla Glebe House sono conservate anche alcune opere significative degli artisti di Tory Island, come ad esempio West End Village di James Dixon.
Sull’esempio di Dixon altri isolani si avvicinarono alla pittura. Oggi a James Dixon è intitolata la galleria d’arte di Tory, Gailearaì Dixon, dove espongono gli artisti locali; Il più rappresentativo è Patsy Dan Rodgers che oltre ad essere un apprezzato pittore è anche un valente musicista di Trad music (ovviamente).
Rodgers è l’attuale re di Tory e tra i suoi compiti rientra anche quello di dare il benvenuto ai visitatori dell’isola. E adempie ai suoi oneri salutando ogni singolo visitatore (17mila circa nel 2015!) al suo arrivo sull’isola e alla sua partenza dalla stessa. Che fatica essere il re, meglio dipingere!
Da vedere questa breve intervista all'ultimo re irlandese:
L'atto del 1786 che aboliva la pena di morte in Toscana
Il
30 novembre 1786 il granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena,
approvando la riforma del codice penale, grazie al contributo del giurista Pompeo Neri, abolì la pena di morte e la
pratica della tortura. "Una pratica più conveniente ai popoli barbari",
così il granduca definì la pena capitale.
La Toscana fu il primo stato
al mondo ad vietare la pena di morte. A Firenze i patiboli e gli
strumenti di tortura furono bruciati di fronte al Bargello,
antica sede delle esecuzioni capitali. Il granduca Pietro Leopoldo,
sovrano illuminato, fu influenzato dal saggio Dei delitti e delle pene (1764) del pensatore milanese Cesare Beccaria. Molti altri sovrani europei nell'Ottocento seguirono l'esempio del lorenese. Tra i primi stati a farlo vi fu San Marino nel 1865.
Dal 2000 la Regione
Toscana ha proclamato il 30 novembre festa regionale in ricordo di
questo gesto pioneristico. Un atto di grande modernità perchè la pena
non deve essere punitiva, ma formativa. Negli ultimi anni il 30 novembre è divenuto anche la Giornata Mondiale contro la Pena di Morte.
Molto strada deve ancora essere fatta nel mondo e in Italia. Per migliorare la condizione dei carcerati e offrire loro la possibilità di redimersi nella società. Oggi nel mondo 36 stati, tra cui
la Cina, gli Usa e l'Iran, praticano regolarmente la pena capitale. La modernità non è ancora arrivata dappertutto. #NessunotocchiCaino #PenadimorteMai
Nelle strade di Carloforte si sente parlare ligure, solo che ci troviamo né nella riviera di ponente e né in quella di levante della Liguria, ma siamo in un' isola dell'arcipelago del Sulcis in Sardegna. Le ragioni di tale particolarità si ritrovano nella storia. Una storia di isole e di coralli.
La Repubblica di Genova
Le origini di questa vicenda affondano nella gloriosa storia di Genova la Superba. Genuensis, ergo mercator, questo è il detto che più di tutti racchiude l'essenza della Genova marinara. Nel Cinquecento la grande aristocrazia mercantile della città costituì, delle ceneri del comune bassomedievale, la Repubblica di Genova.
La Serenissima Repubblica era governata, secondo la riforma di Andrea Doria del 1528, dalle 28 famiglie aristocratiche della città. Si trattava di consorzi di famiglie, conosciute come Alberghi. Una Repubblica oligarchica che segnò la storia della città.
I Lomellini e l'isola di Tabarca
La famiglia Lomellini, dipinto di Antoon van Dyck 1623, Edinburgh, National Gallery of Scotland
La grande alleata della Repubblica di Genova fu la Spagna. La Spagna nel Cinquecento assunse il ruolo di leadership all'interno del panorama ormai globale. Carlo V d'Asburgo fu la guida di questo glorioso momento storico. I genovesi si legarono fortemente alla Spagna imperiale ricevendone grandi benefici. Tra le famiglie della Superba ci interessa la vicenda dei Lomellini.
I Lomellini furono una delle famiglie più influenti della Repubblica. Nel 1543 ricevettero da Carlo V la concessione per la pesca del corallo nell'isola di Tabarca, vicina alle coste di Tunisia. La famiglia decise di colonizzare la piccola isola tunisina. Sin da subito molti abitanti di Pegli, quartiere genovese, dove i Lomellini possedevano delle proprietà.
Nei secoli a venire Tabarca divenne un' avamposto commerciale genovese, centro delle fortune della famiglia dei Lomellini, che estesero il commercio dai coralli ad altri generi alimentari e non solo.
I tabarchini dopo il 1741
Pegli,Tabarca e i nuovi insediamenti tabarchini:Nueva Tabarca, Carloforte e Calasetta
Nel 1741 l'isola di Tabarca fu acquisita dal bey di Tunisi e i pegliesi, divenuti tabarchini, furono costretti a lasciare la loro patria acquisita. Grave fu il contraccolpo economico per i Lomellini. Una crisi irreversibile. Quale destino toccò ai tabarchini?
Una parte consistente di loro già prima del 1741 aveva richiesto al re di Sardegna Carlo Emanuele III di Savoia di stabilirsi nell'isola disabitata di San Pietro, all'epoca conosciuta come l'isola degli Sparvieri, nell'arcipelago del Sulcis, ad ovest dell'isola di Sardegna.
I tabarchini resero omaggio al re sabaudo nella scelta del nome dell'abitato Carloforte. Oggi conta poco più di 5 mila abitanti.
Il monumento a Carlo Emanuele III a Carloforte
Un'altra parte dei tabarchini si insediò nel 1770 nella vicina isola di Sant'Antioco dando vita all'abitato di Calasetta. Un esiguo numero di pegliesi, 69 famiglie, si trasferì, su invito del re Carlo III Borbone, prima ad Alicante e poi nella vicina isola Ila Plana (0,30 km quadrati!), situata non lontano dalle coste spagnole.
Nueva Tabarca
Oggi, l'isola è conosciuta come Nueva Tabarca ed è abitata dai discendenti dei tabarchini, che, però, hanno perso l'originaria connotazione linguistica. A differenza di Carloforte e di Calasetta che hanno, invece, conservato la propria alterità rispetto all'ambiente circostante.