mercoledì 28 dicembre 2016

Samo ritorna

Dopo una lunga di riflessione, Samo Blog ritorna all'opera con nuovi articoli e nuovi contenuti. Seguitemi su Twitter:https://twitter.com/SAMoBlog e su Falsariga: http://falsariga.altervista.org/

domenica 4 dicembre 2016

Tory Island: l'isola segreta dei re pittori

Tory Island
Tra tutte le storie affascinanti che si potrebbero raccontare su quella terra meravigliosa che è l’Irlanda questa è tra le più straordinarie e tra le più particolari. Il riferimento va a una delle esperienze più estreme che il genere umano abbia mai voluto affrontare: vivere in un’isola, Tory Island, di 5 km² a 11 km dalla costa del Donegal, contea dell’ Ulster, nel più profondo nord dell’isola di smeraldo.

Qui, a Tory Island, negli ultimi 50 anni si è sviluppata, in una realtà limitatissima che non arriva a contare i 200 membri, una delle più vibranti comunità di artisti naifs, che non solo per la loro specificità, ma anche per le loro qualità artistiche, hanno esposto a Chicago, Belfast, Londra e Parigi e venduto in importanti aste a cifre considerevoli. Ma prima di presentare la comunità dei pittori isolani, è bene precisare qualcosa sul Donegal, su Tory Island e sui suoi abitanti, per meglio comprendere la tendenza artistica.

L’isola e i suoi abitanti

La posizione di Tory Island
Il Donegal è una contea della Repubblica d’Irlanda (Eire) che fa parte della regione storica dell’Ulster, oggi divisa tra Regno Unito (6 contee conosciute come Irlanda del Nord) e Eire (le restanti 3 contee). Il Donegal è la contea degli estremi e degli opposti. Vi si trova il punto più settentrionale dell’intera isola: Malin Head.

Natura incontaminata, terre selvagge, spiagge dal candore caraibico, spietati venti oceanici e un clima inclemente sono di casa nel Donegal. Dovunque la forza degli elementi è padrona e si respira a pieni polmoni il Sublime della natura.


Il carattere fiero ed aspro dei suoi abitanti è stato forgiato dalle difficoltà e dalla terra alla quale si sono consacrati. Conservano ancora lo spirito ribelle dei loro antenati che furono nemici giurati della dominazione inglese

La lingua irlandese è  ancora lingua viva, tanto che più di un terzo della contea è Gaeltacht, area dove la maggioranza della popolazione è di madrelingua irlandese. “Up here it’s different” recita un detto locale ed è proprio vero. Tory Island è la sublimazione di questo spirito selvaggio, ribelle, isolato, ma anche accogliente e profondo.
Tory Island (in irlandese Oileàn Thoraì) si trova a 11 km dalle coste della mainland. I traghetti non sono frequenti  e specialmente in inverno si può essere isolati per giorni.  Abitata da 4500 anni, è un esempio di tenace resistenza dell’uomo alle prove della natura. Forte è il senso indipendentista degli isolani che da secoli eleggono un loro re (Rì Toraì). Oggi è un ruolo puramente simbolico; il re, infatti, svolge la funzione di portavoce della comunità. Ed è qui, a Tory, che si ritirò a dipingere gli spettacolari paesaggi dell’isola il pittore inglese Derek Hill negli anni ’50.

L’isola e suoi pittori: Derek Hill, James Dixon e il re Patsy Dan Rodgers

Derek Hill (1916-2000), amante dell’Italia e in contatto con Giorgio Morandi e Renato Guttuso, nel 1954 si trasferì a Church Hill nel Donegal. Nel 1958,  durante una visita a Tory Island,  rimase impressionato dalla luce e dalla natura inesplorata del luogo. Negli anni successivi trascorse lunghi periodi sull’isola a dipingere, coinvolgendo la comunità locale ad appassionarsi alla pittura e ad praticarla. Tra di loro c’era James Dixon.
James Dixon (1887-1970), pescatore e allevatore, all’epoca del suo incontro con Hill aveva 72 anni e aveva trascorso tutta la sua vita sull’isola. Iniziò dipingendo con la vernice per barche e usando il crine del proprio asino come pennello. Le sue opere descrivono la realtà quotidiana degli isolani e i paesaggi aspri di Tory, temprati dalla forza degli elementi in maniera semplice, genuina e diretta. Che grande profondità! Magnifico esempio dell’universalità dell’arte (e dell’arte di arrangiarsi) che porta il suo messaggio anche in una terra così remota e segreta. Ma sicuramente affascinante!
West East Village di James Dixon

Nel 1981 Hill donò allo stato irlandese la sua residenza di Church Hill, Glebe House, dove oggi sono esposte numerose opere dell’artista inglese e la sua collezione privata comprendente anche opere di Picasso, Morandi e Guttuso. Alla Glebe House sono conservate anche alcune opere significative degli artisti di Tory Island, come ad esempio West End Village di James Dixon.
Sull’esempio di Dixon altri isolani si avvicinarono alla pittura. Oggi a James Dixon è intitolata la galleria d’arte di Tory, Gailearaì Dixon, dove espongono gli artisti locali; Il più rappresentativo è  Patsy Dan Rodgers che oltre ad essere un apprezzato pittore è anche un valente musicista di Trad music (ovviamente).
Rodgers è l’attuale re di Tory e tra i suoi compiti rientra anche quello di dare il benvenuto ai visitatori dell’isola. E adempie ai suoi oneri salutando ogni singolo visitatore (17mila circa nel 2015!) al suo arrivo sull’isola e alla sua partenza dalla stessa. Che fatica essere il re, meglio dipingere!

Da vedere questa breve intervista all'ultimo re irlandese:

mercoledì 30 novembre 2016

30 novembre: Festa della Toscana e della Modernità

L'atto del 1786 che aboliva la pena di morte in Toscana
Il 30 novembre 1786 il granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena, approvando la riforma del codice penale, grazie al contributo del giurista Pompeo Neri, abolì la pena di morte e la pratica della tortura. "Una pratica più conveniente ai popoli barbari", così il granduca definì la pena capitale. 

La Toscana fu il primo stato al mondo ad vietare la pena di morte. A Firenze i patiboli e gli strumenti di tortura furono bruciati di fronte al Bargello, antica sede delle esecuzioni capitali. Il granduca Pietro Leopoldo, sovrano illuminato, fu influenzato dal saggio Dei delitti e delle pene (1764) del pensatore milanese Cesare Beccaria. Molti altri sovrani europei nell'Ottocento seguirono l'esempio del lorenese. Tra i primi stati a farlo vi fu San Marino nel 1865.

Dal 2000 la Regione Toscana ha proclamato il 30 novembre festa regionale in ricordo di questo gesto pioneristico. Un atto di grande modernità perchè la pena non deve essere punitiva, ma formativa.

Negli ultimi anni il 30 novembre è divenuto anche la Giornata Mondiale contro la Pena di Morte.

Molto strada deve ancora essere fatta nel mondo e in Italia. Per migliorare la condizione dei carcerati e offrire loro la possibilità di redimersi nella società. Oggi nel mondo 36 stati, tra cui la Cina, gli Usa e l'Iran, praticano regolarmente la pena capitale. La modernità non è ancora arrivata dappertutto.

#NessunotocchiCaino #PenadimorteMai
Pietro Leopoldo di Lorena, Granduca di Toscana

domenica 27 novembre 2016

La Liguria in Sardegna e non solo: Carloforte, Calasetta e Nueva Tabarca

Nelle strade di Carloforte si sente parlare ligure, solo che ci troviamo né nella riviera di ponente  e né in quella di levante della Liguria, ma siamo in un' isola dell'arcipelago del Sulcis in Sardegna. Le ragioni di tale particolarità si ritrovano nella storia. Una storia di isole e di coralli.

La Repubblica di Genova


Le origini di questa vicenda affondano nella gloriosa storia di Genova la Superba. Genuensis, ergo mercator, questo è il detto che più di tutti racchiude l'essenza della Genova marinara. Nel Cinquecento la grande aristocrazia mercantile della città costituì, delle ceneri del comune bassomedievale, la Repubblica di Genova.

La Serenissima Repubblica era governata, secondo la riforma di Andrea Doria del 1528, dalle 28 famiglie aristocratiche della città. Si trattava di consorzi di famiglie, conosciute come Alberghi. Una Repubblica oligarchica che segnò la storia della città.


 I Lomellini e l'isola di Tabarca


La famiglia Lomellini, dipinto di Antoon van Dyck 1623, Edinburgh, National Gallery of Scotland

La grande alleata della Repubblica di Genova fu la Spagna. La Spagna nel Cinquecento assunse il ruolo di leadership all'interno del panorama ormai globale. Carlo V d'Asburgo fu la guida di questo glorioso momento storico. I genovesi si legarono fortemente alla Spagna imperiale ricevendone grandi benefici. Tra le famiglie della Superba ci interessa la vicenda dei Lomellini.

I Lomellini furono una delle famiglie più influenti della Repubblica. Nel 1543 ricevettero da Carlo V la concessione per la pesca del corallo nell'isola di Tabarca, vicina alle coste di Tunisia. La famiglia decise di colonizzare la piccola isola tunisina. Sin da subito molti abitanti di Pegli, quartiere genovese, dove i Lomellini possedevano delle proprietà.

Nei secoli a venire Tabarca divenne un' avamposto commerciale genovese, centro delle fortune della famiglia dei Lomellini, che estesero il commercio dai coralli ad altri generi alimentari e non solo.

I tabarchini dopo il 1741
Pegli,Tabarca e i nuovi insediamenti tabarchini:Nueva Tabarca, Carloforte e Calasetta

Nel 1741 l'isola di Tabarca fu acquisita dal bey di Tunisi e i pegliesi, divenuti tabarchini, furono costretti a lasciare la loro patria acquisita. Grave fu il contraccolpo economico per i Lomellini. Una crisi irreversibile. Quale destino toccò ai tabarchini?
Una parte consistente di loro già prima del 1741 aveva richiesto al re di Sardegna Carlo Emanuele III di Savoia di stabilirsi nell'isola disabitata di San Pietro, all'epoca conosciuta come l'isola degli Sparvieri, nell'arcipelago del Sulcis, ad ovest dell'isola di Sardegna.
I tabarchini resero omaggio al re sabaudo nella scelta del nome dell'abitato Carloforte. Oggi conta poco più di 5 mila abitanti.
Il monumento a Carlo Emanuele III a Carloforte
Un'altra parte dei tabarchini si insediò nel 1770 nella vicina isola di Sant'Antioco dando vita all'abitato di Calasetta. Un esiguo numero di pegliesi, 69 famiglie, si trasferì, su invito del re Carlo III Borbone, prima ad Alicante e poi nella vicina isola Ila Plana (0,30 km quadrati!), situata non lontano dalle coste spagnole.
Nueva Tabarca
Oggi, l'isola è conosciuta come Nueva Tabarca ed è abitata dai discendenti dei tabarchini, che, però, hanno perso l'originaria connotazione linguistica. A differenza di Carloforte e di Calasetta che hanno, invece, conservato la propria alterità rispetto all'ambiente circostante.
Una storia di mercanti, d'isole e d'identità!
Tabarca, ricomincia l'avventura!


mercoledì 23 novembre 2016

Alle origini della Repubblica delle banane

Il Novecento è stato il secolo delle banane. Da Andy Warhol, a Nico e i Velvet Underground, a Gabriel Garcia Marquez, a Woody Allen, a Dalla e De Gregori e alle Repubbliche delle Banane. Tutti noi lo abbiamo sentito esclamare almeno una volta: "Viviamo nella Repubblica delle Banane!"  Ma qual' è l'etimologia di tale espressione dispregiativa che descrive uno stato con un governo corrotto, instabile ed soggetto alle ingerenze delle potenze estere?  L'origine dell'espressione deriva dall'azienda statunitense oggi conosciuta come Chiquita; la celebre banana dei simpatici spot pubblicitari, per intendersi. Ma procediamo con ordine.

L'United Fruit Company

L'espressione fu coniata nel 1904 dallo scrittore statunitense O.Henry nel suo racconto breve Cabbages and Kings nel riferirsi allo stato centroamericano dell'Honduras. Il perché di tale espressione risiede nel fatto che lo stato honduregno era uno dei maggiori produttori ed esportatori di banane, appunto. Ma vi è un elemento aggiuntivo nella vicenda: l'United Fruit Company.

Minor C.Keith
La compagnia, nata nel 1899 da una fusione di imprese che operavano nel settore alimentare, era un impresa statunitense che da pochi anni operava nei paesi centroamericani (Guatemala, Nicaragua, Honduras e Costa Rica) nell'importazione di banane verso gli USA. La personalità forte della neonata United Fruit Company era Minor C. Keith, imprenditore newyorchese già attivo nel settore ferroviario. Sotto la conduzione di Keith la compagnia espanse la sua influenza, garantendosi una sorta di monopolio nell'importazione delle banane, sull'America Latina, sul Centro America, come visto, e sulle isole caraibiche.

Keith rivoluzionò il trasporto delle materie prime verso gli USA. Celebre fu la flotta bianca, Great White Fleet, che assicurava il collegamento dal Centro America alle coste meridionali degli States con veloci navi pitturate di bianco. Il bianco fu scelto perché garantiva un miglior mantenimento della qualità del prodotto in quanto questo colore meglio rifletteva i raggi del sole che potevano far deperire anzi tempo la banana.

La compagnia si guadagnò un ruolo dominante nel continente americano. Tuttavia, non fu sempre rispettosa, però, dei diritti dei lavoratori. Celebre è l'episodio del 1928 conosciuto come Banana Massacre avvenuto in Colombia. A seguito di ripetuti scioperi dei lavoratori dell'United Fruit Company l'esercito colombiano, su pressioni dei vertici dell'azienda Usa, aprì il fuoco contro i manifestanti che scioperavano causando circa 3000 morti. Episodio fu liquidato come una giusta risposta a una rappresaglia comunista. I corpi dei lavoratori uccisi scomparvero in situazioni poco chiare, forse furono gettati in mare.
Pubblicità storica dell'United Fruit

L'episodio colombiano è sintomatico della forza acquisita della compagnia statunitense. L'United Fruit Company divenne, così, un potente mezzo stabilire la supremazia Usa sulle Americhe. L'intento coloniale della UFC si trovava in pieno accordo con la dottrina Monroe.

Colonialismo informale, dottrina Monroe

Negli anni dell'imperialismo europeo gli Usa mantennero una posizione del tutto particolare. Non considerarono necessario imporre il proprio controllo territoriale su ampie porzioni del globo come facevano gli europei. Ma preferirono limitarsi ad un colonialismo informale: controllare l'economia dei paesi sottoposti senza apparenti modifiche politiche.  L'interesse statunitense fu nettamente direzionato ad assumere un ruolo di leadership nell'ambito continentale "L'America agli Americani". O meglio agli Usa.

Tale indirizzo politico è conosciuta come "dottrina Monroe" dal nome del presidente degli Stati Uniti che per primo nel 1823 la teorizzò. Quindi, l'United Fruit Company costituiva l'ultimo evento cronologico di questo indirizzo. La UFC controllò la vita politica dei paesi in cui era attiva determinando le sorti economiche e non solo: nascono le Repubbliche delle Banane.

Il colpo di stato nel Guatemala
Lavoratori della UFC in Guatemala negli anni'30

L'episodio più emblematico della controversa United Fruit Company fu il colpo di stato in Guatemala nel 1954, quando fu smaccatamente evidente l'apporto della compagnia statunitense. Il paese centroamericano era sottoposto al controllo estero ormai da decenni con un susseguirsi di governi militari corrotti, quando nel 1951 fu eletto presidente il giovane ufficiale dell'esercito Jacobo Arbenz.

Il neopresidente promise la liberazione dello stato dalle ingerenze dell'United Fruit Company. Questo intento allarmò gli Usa che risposero tempestivamente. Il capo della CIA Allen Welsh Dulles, che era azionista di maggioranza anche della UFC, organizzò un colpo di stato, agitando il pericolo comunista, che mirasse a destituire Arbenz. Nel 1954 Città del Guatemala fu bombardata dall'aviazione americana costringendo il presidente Arbenz al lasciare il paese.

Dopodiché, fu costituito un nuovo governo guatemalteco, docile agli interessi statunitensi. Un governo da repubblica delle Banane.

Chiquita
Logo della Chiquita

Nel 1970 l'United Fruit Company ha cambiato nome; si chiama, infatti Chiquita Brands International. Oggi "Chiquita è un’azienda internazionale leader nella produzione e commercializzazione di prodotti alimentari freschi, con 21.000 dipendenti in 70 paesi". Ha migliorato gli standard sindacali e s'impegnata nel sociale. Il nome Chiquita, in spagnolo "ragazza", è la ispanizzazione del nome di C.Keith. Miss Chiquita, la simpatica mascotte della pubblicità, esordì già nel 1944.

La compagnia americana ha segnato la storia del secolo scorso sotto molti aspetti. E non sempre lo ha fatto per meglio. Pensateci la prossima volta che vedete una Chiquita perché dietro "un Gusto da 10 e lode" si nasconde molto di più!







domenica 20 novembre 2016

La Gomera, l'isola che cinguetta

La Gomera
Ben prima dell'invezione di Twitter,  qualcuno aveva già iniziato a cinguettare  i propri pensieri. Il Silbo gomero, una forma di linguaggio fischiato, è, infatti, utilizzato da secoli dagli abitanti dell'isola di La Gomera per comunicare tra di loro. Siamo nell'arcipelago delle Canarie, amatissimo e frequentatissimo dai turisti di tutto il mondo, che arrivano attratti dalle bellezze naturali, dal clima perennemente primaverile e dalle spiagge cristalline.  Ma anche dal peculiare linguaggio dei gomeri.

La Gomera

La posizione de La Gomera nelle Canarie
L'isola de La Gomera è una delle sette isole che formano l'arcipelago spagnolo delle Canarie. La Gomera, la seconda isola più piccola dell'arcipelago per estensione, si trova ad ovest dell'isola di Tenerife. La popolazione locale è di circa 20 mila abitanti. Il centro principale è San Sebastian de La Gomera (6 mila abitanti). Geologicamente è un'isola vulcanica, come del resto anche le altre isole dell'arcipelago, nonostante che da più di 2000 anni non vi si siano verificati fenomeni eruttivi. Questo dato rende La Gomera l'unica isola delle Canarie priva di un vulcano attivo. Di forma pressoché circolare, l'isola è prevalentemente montuosa con picchi che superano anche i 1000 metri. Tra i rilievi montuosi si aprono profondi valli disposte a raggiera. Una conformazione che ha influito sulla vita degli abitanti e, come vedremo, anche nel loro modo di comunicare.

Parco Nazionale del Garajonay
Di grande rilievo è il Parco Nazionale del Garajonay che copre circa il 10% della superficie isolana. Questo ambiente è particolarmente importante per gli studi naturalistici. Infatti, nel Garajonay si conserva un ambiente unico, presente solo qui e a Madera, la lauriselva (una foresta di lauri), uno tipo di foresta che nel Cenozoico copriva gran parte del continente europeo. Il Parco è stato definito dai botanici "una foresta fossile vivente".

L'isola fu abitata anticamente dai Guanci, popolazione indigena delle Canarie. Nei secoli del Basso Medioevo iniziò la colonizzazione spagnola che soppiantò la popolazione guanche. L'isola è conosciuta anche come l'isla colombina. Cristoforo Colombo, infatti, nel 1492, durante il fatidico viaggio verso le Indie passando da Ovest, approdò sull'isola. La fermata successiva del navigatore genovese fu il Nuovo Mondo.

La Gomera è un'isola carica di storia e di bellezza, ma è soprattutto l'isola del Silbo.

Una foto storica di un silbador

Il Silbo gomero

Storicamente è riconosciuto il ruolo dei Guanchi nella codificazione della linguaggio fischiato della Gomera. Non si dispone, però, di concreti riscontri storici che lo attestano né si conosce l'esatta natura della lingua indigena. Il linguaggio fischiato era usato dai Guanchi non solo nell'isola de La Gomera, ma esisteva in tutte le isole dell'arcipelago, e in particolare a La Gomera, La Palma e El Hierro. Il linguaggio fischiato era utile ai pastori isolani per comunicare tra di loro a grandi distanze. La morfologia impervia delle isole ha aiutato la diffusione del Silbo. Meglio fischiare che affrontare un difficoltoso tragitto per parlare con qualcuno.

Nel secolo scorso il Silbo è caduto in disuso. Le nuove forme di comunicazione, l'emigrazione degli isolani e l'abbandono della pastorizia hanno messo in pericolo questa secolare tradizione. Negli anni Settanta il linguaggio fischiato era praticato soltanto a El Hierro, l'isola più piccola e più occidentale delle Canarie. Negli anni Novanta il Silbo è stato reintrodotto anche a La Gomera. Oggi, questa particolare forma di comunicazione è ampiamente conosciuta ed utilizzata dai gomeri. Il Silbo è inoltre insegnato nelle scuole dell'isola.
Nel 1999 è stato inserito nelle liste del Patrimonio Immateriale dell'Umanità. La rivitalizzazione del Silbo ha aiutato enormemente l'economia isolana. Moltissimi, infatti, i visitatori che si recano a La Gomera per ammirare l'isola che cinguetta.

Se volete imparare a fischiare come un gomero, sappiate che non è necessario andare a La Gomera poiché esistono su internet dei siti e delle app che insegnano il Silbo; ad esempio Yo Silbo e su Busuu.
Il linguaggio dei pastori guanche è entrato nella modernità.

Vi consiglio questo breve documentario Unesco su La Gomera e il Silbo:



giovedì 17 novembre 2016

Il Pulcin della Minerva

La zanna sfregiata dell'elefantino
Lo sfregio alla zanna dell'elefantino del Bernini in Piazza della Minerva a Roma è solo l'ultimo esempio di una lunga serie di atti vandalici che hanno coinvolto il nostro patrimonio culturale. Ovviamente, si tratta di un episodio da condannare nel senso più assoluto. Chi non rispetta il patrimonio culturale, non rispetta né la sua storia né sé stesso. Nelle ultime ore è emersa, con forza, un' un inquentante pista investigativa che vede nel gesto non un atto di uno squilibrato, ma un atto criminale premeditato.

Certo, l'incuria e il degrado in cui versano le nostre città influiscono nella determinazione di tali episodi, ma alla base di tutto c'è la mancanza d'educazione e di un senso civico condiviso. Un compito arduo spetta, o spetterebbe, alle nostre istituzioni (e a tutti noi): preservare il passato per consegnarlo ai posteri. Strumento insostituibile per questo fine è la conoscenza. Nel nostro piccolo, in questo caso, proveremo a delineare i caratteri dell'opera in questione: Il Pulcin della Minerva.


La facciata di Santa Maria sopra Minerva

La Basilica di Santa Maria sopra Minerva

Ci troviamo nel centro di Roma nel quartiere Pigna a due passi dal Pantheon, in una delle zone più affascinanti della capitale: qui sorge la Basilica di Santa Maria sopra Minerva.
Santa Maria sopra Minerva è uno dei tanti gioielli storici-artistici in cui possiamo imbatterci a Roma. La storia della Basilica risale all'VIII secolo, quando fu fondato un'oratorio di devozione mariana, conosciuto come Minervum. Nel 1280 iniziò l'edificazione di nuova basilica domenicana, su modello della Basilica di Santa Maria Novella a Firenze. Nella basilica è sepolta la grande santa domenicana Santa Caterina da Siena, patrona d'Italia.

Santa Maria sopra Minerva si è arricchita nel corso dei secoli di opere d'indicibile bellezza e rilevanza storica. La Cappella Carafa (1488-1493), affrescata da Filippino Lippi, il Cristo Risorto di Michelangelo (15119-1520), le tombe dei papi medicei, nell'abside, Leone X e Clemente VII, la cappella Aldobrandini in cui sono sepolti in genitori del papa Clemente VIII (1592-1605), con sculture di Nicolas Cordier e con pala d'altare di Federico Barocci, e infine l'innovativo monumento a Suor Maria Raggi di Gian Lorenzo Bernini (1644-1647), solo per citare le opere più importanti. Uno scrigno di arte e storia.

L'elefantino sorregge l'obelisco

L'obelisco della Minerva


La storia dell'elefantino prese inizio nel 1665 quando in una tenuta del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva fu rinvenuto un piccolo obelisco di 5 metri e mezzo di altezza con iscrizioni egizie su tutti i lati. L'obelisco proveniva dal tempio di Iside al Campo Marzio, conosciuto anche come Iseo Camplense, santuario di età imperiale, consacrato alla dea Iside. Il tempio di Iside sorgeva a breve distanza dall'attuale Basilica domenicana. La produzione dell'obelisco è  egiziana. Faceva, infatti, parte del materiale egiziano che arrivò a Roma da Eliopoli (Egitto) nella prima età imperiale.  

Il Pulcin della Minerva

Intanto chiariamo il significato del nome. Come è risaputo che ai romani piaccia dare soprannomi a tutti e perfino alle statue. E il piccolo elefantino di Piazza della Minerva ai romani del tempo ricordava un piccolo maiale, il porcino, o come si diceva all'epoca il pulcino. Il monumento di Bernini, scolpito dal suo fido allievo Ercole Ferrata nel 1667, non era, tuttavia, il primo progetto preso in considerazione per la collocazione dell'obelisco.

Autoritratto di Gian Lorenzo Bernini (1630-1635)
Il papa regnante all'epoca, il senese Alessandro VII Chigi, aveva, infatti, ascoltato primo di Bernini la proposta del prete domenicano Domenico Paglia. Paglia propose per il base dell'obelisco l'esecuzione di un monumento celebrativo del papa, con un chiaro riferimento ai monti dello stemma Chigi, e del suo ordine attraverso la presenza di un cane. I domenicani, ricordiamo, sono chiamati anche Domini Canes, i cani del Signore. Il papa rifiutò il progetto giudicandolo troppo encomiastico. Interpellò, quindi, l'artista sommo del Secolo: Gian Lorenzo Bernini.

Xilografia Hypnerotomachia Poliphilii
Bernini elaborò un progetto che mirava, invece, a celebrare la Divina Saggezza. Il grande scultore fece questo attraverso un elefante. L'elefante, infatti, era simbolo di forza, capace di reggere una solida saggezza. Così recita, l'iscrizione del basamento, a chiarimento dell'intento concettuale dell'opera :"Sapientis Aegypti/ insculptas obelisco figuras/ ab elephanto/ belluarum fortissima/ gestari quisquis hic vides/ documentum intellige/ robustae mentis esse/ solidam sapientiam sustinere" (Chiunque qui vede i segni della Sapienza d'Egitto scolpiti sull'obelisco, sorretto dall'elefante, la più forte delle bestie, intenda questo come prova che è necessaria una mente robusta per sostenere una solida sapienza). L'ispirazione di Bernini derivò, probabilmente, dall' Hypnerotomachia Poliphilii (1499), romanzo di erudizione umanistica che prende molto dalla cultura sapienziale dei geroglifici.

La messa in opera del monumento non fu priva di imprevisti. I domenicani e Paglia, in particolare, mossero delle obiezioni statiche al progetto di Bernini che fu costretto a variarlo per venire incontro alle richieste dei religiosi. Ma il buon Bernini, genio permaloso e libero da imposizioni esterne, rispose, secondo la leggenda, ponendo le terga dell'animale di fronte all'entrata del convento domenicano, mentre la proboscide, in maniera irriverente, evidenziava l'esibizione della parte meno nobile del Pulcin. Chi la fa l'aspetti. Come speriamo che accada anche all'autore del recentissimo sfregio.
La soave visione che attendeva i domenicani all'uscita dal convento




martedì 15 novembre 2016

La guerra gentile dei liquori nella piccola Hans Island

Una piccola isola disabitata nel Mar Glaciale Artico, due nazioni che se la contendono, Danimarca e Canada, e delle bottiglie di liquori sono gli ingredienti di questa curiosa vicenda. Stiamo parlando di Hans Island e della sua "folle" contesa. Un vicenda dai contorni grotteschi e sarcastici, ma che apre anche degli interrogativi sulla giurisdizione territoriale sull'Artico e sulle sue risorse.

Hans Island: in mezzo al niente di due stati

Hans Island
Non vi affannate a cercare Hans Island sul mappamondo perché tanto non la troverete. Hans Island, infatti, è un piccolo isolotto che misura 1,3 km quadrati, largo 1290 metri e lungo 1199 metri. Poco più di uno scoglio. Il nome Hans fu scelto in onore dell'esploratore groenlandese Hans Heindrick, che prese parte alla missione di ricerca statunitense (1853-1855), conosciuta come la Seconda Spedizione Grinnell, che aveva lo scopo di esplorare i confini nordest artico e ritrovare la perduta spedizione Franklin. In lingua groenlandese l'isolotto è chiamato Tartupaluk.

 L'isola si trova nello stretto di Kennedy che divide la Groenlandia e l'isola canadese di Ellesmere (Ellesmere Island). Ci troviamo nel più profondo nord artico al limite estremo delle terre emerse. Un ambiente che non offre niente all'uomo né alla natura. Una lastra di pietra inospitale sia per la fauna che per la flora. La particolarità dell'isola, posizionata nel centro dei 35 km dello stretto di Kennedy, risiede nell'essere equidistante dalle coste groenlandesi, quindi danesi, e dalle coste canadesi. Entrambe le nazioni hanno, quindi, rivendicato, a giusta ragione, la proprietà di Hans Island, poiché l'isola si trova sia nelle acque territoriali danesi che canadesi. Come risolve, quindi, la questione?

La posizione di Hans Island

Negli anni trenta la questione fu sollevata in sede internazionale. Nel 1932 si giunse ad una sentenza della Corte Permanente di Giustizia Internazionale della Società delle Nazioni che stabiliva il possesso danese dell'isola. Tuttavia, la dissoluzione della Società delle Nazioni, a seguito della Seconda Guerra Mondiale, ha riaperto la disputa. Nel 1973 ripresero i colloqui tra i due stati per stabilire un trattato sulle rispettive frontiere. Ma su Hans Island le trattative si conclusero in un nulla di fatto.

La contesa riemerse prepotentemente nel 1984. In quell'anno, infatti, il ministro danese degli affari groenlandesi, Tom Hoyen, visitò Hans Island piantando sull'inospitale terra dell'isola una bandiera nazionale. A questa allegò una scritta che recitava "Benvenuti su un isola danese!" e una bottiglia di brandy danese. Iniziò, così, la disfida dei liquori a Hans Island.

La disputa territoriale tra Canada e Danimarca per Hans Island

La disfida dei liquori

Ogni qual volta i danesi o i canadesi approdavano sull'isola per rivendicarne il possesso, lasciavano una bottiglia di liquore nazionale, il Canadian Club per i nordamericani e lo Schnapps per gli scandinavi. Uno modo simpatico per salutare i "nemici" al momento dell"invasione" e un ottimo modo per riscaldarsi nel gelo artico.

Una svolta nella vicenda si ebbe nel 2005 quando il ministro degli Esteri canadese, Bill Graham, visitò l'isola. Le autorità danesi si irritarono molto per questo esprimendo il loro disappunto in una nota ufficiale.
A seguito dell'evento del 2005, le due nazioni si risolsero a riaprire i negoziati per chiarire una volta per tutte chi avesse giurisdizione sull'isola. Non si giunse, però, ad una soluzione condivisa.
Nel 2008 un gruppo di scienziati, formato da canadesi, danesi, australiani e britannici hanno posizionato sull'isola una stazione meteorologica automatica.
Nel 2012 è stato proposto di porre sotto una legislazione condivisa Canada-Danimarca l'isola. Non sono seguiti sviluppi né bottiglie di liquori.

La sua giurisdizione è a tutt'oggi dibattuta. Su internet si possono trovare siti a sostegno della causa danese e della causa canadese.

Hans Island è uno strano caso in cui la geografia coincide con la legge internazionale. Allora meglio prenderla con sarcasmo! Meglio se lo si accompagna con un bicchierino di Canadian Club o di Schnapps!

sabato 12 novembre 2016

La guerra diplomatica dimenticata tra Liechtenstein e Repubblica Ceca


Un conflitto diplomatico, per fortuna non armato, si è protratto per ben 71 anni nel cuore dell'Europa. I protagonisti sono stati il piccolo Liechtenstein, una nazione di 160 km quadrati con una popolazione di circa 35 mila abitanti, e la Cecoslovacchia (da 1993 Repubblica Ceca e Slovacchia). Una vicenda che ha origini lontane nella storia, ma che ha trovato nel secolo scorso, così travagliato, il terreno fertile per esplodere. Una vicenda di soldi e di prestigio, ma non solo. Una storia poco conosciuta, una storia da Samo.

I principi del Liechtenstein


Il fiabesco castello di Liechtenstein in Austria
La casata di principi di Liechtenstein è stata una delle famiglie più importanti del Sacro Romano Impero, seconda solo agli Asburgo. La fortuna del casato ha avuto inizio nei primi secoli del Basso Medioevo quando la famiglia riuscì ad acquisire vasti possedimenti nell'ambito dell'Impero. Tra questi vi era il castello di Liechtenstein nella Bassa Austria da cui si origina il nome del casato.
I territori dei Liechtenstein si concentravano tra Slesia, Moravia, Bassa Austria e Stiria. Il casato, alleato degli Asburgo, prosperò edificando sontuose ville  e castelli soprattutto in Moravia.
Il grande limite nella storia della famiglia fu che tutti i loro territori erano feudi di altre casate, in particolar modo degli Asburgo. Il problema, causa della relativa marginalità politica della famiglia, fu risolto nel 1699.
La cartina geografica del Liechtenstein
Nel 1699, infatti, i Liechtenstein acquisirono dalla casata degli Hohemens la signoria di Schellenberg e nel 1712 la contea di Vaduz, territori liberi da un rapporto comitale subordinato, situati nel cuore delle Alpi.
Nel 1719 l'Imperatore Carlo VI d'Asburgo decretò l'unione dei due possedimenti della famiglia: nasceva il Principato del Liechtenstein.  Per 150 anni, dal 1719, i principi non soggiornarono stabilmente a Vaduz, la nuova capitale nazionale, ma preferirono continuare a dimorare a Vienna e nei vari possedimenti in Moravia.
L'alleanza storica con l'Austria durò anche dopo la dissoluzione del Sacro Romano Impero nel 1806. Nel 1806 il Liechtenstein divenne formalmente uno stato indipendente. L'alleanza con l'Austria era dettata dal fatto che le maggiori proprietà della casata rientravano nei confini dell'Impero Austriaco (dal 1867 Impero Austro-Ungarico).

La dissoluzione dell'Impero Austro-ungarico

La dissoluzione dell'Impero Austro-Ungarico, causata dalla sconfitta nella Prima guerra mondiale (1918) fu foriera di profonde conseguenze per i principi di Liechtenstein.
Il principio di autodeterminazione dei popoli, tema centrale nella composizione geografica postbellica, portò alla creazione della Cecoslovacchia. Ma nulla cambiò per i principi che continuarono ad essere proprietari dei vasti territori, situati in particolar modo in Moravia, che dal 1919 entrò a far parte della neonata nazione slava. Variò, quindi, per i principi la relazione con l'ente statale, dall'amica Austria, infatti, si passò alla sospettosa Cecoslovacchia. Forte restava la componente di lingua tedesca nel nuovo stato cecoslovacco e forte era l'ostilità della maggioranza slava verso la minoranza germanica.
Nella seconda guerra mondiale la Cecoslovacchia pagò un prezzo altissimo. La Conferenza di Monaco (1938) sancì lo smembramento della Cecoslovacchia. Il principio di nazionalità portò Hitler a richiedere l'annessione delle aree, situate sui monti Sudeti e non solo, a maggioranza tedesca.  Nel 1939 anche quel poco che restava della Boemia e della Moravia fu integrato alla Germania. La Slovacchia divenne, invece, uno stato satellite del Reich. Il Liechtenstein rimase neutrale, come la vicina Svizzera, non riconoscendo la decisione della Conferenza di Monaco. S'interruppero, così, nel 1938 le relazioni diplomatiche tra il piccolo stato alpino e la Cecoslovacchia.
Negli anni della guerra tra i cechi montò un deciso risentimento antitedesco che a guerra finita esplose in tutta la sua forza. E investì anche i principi del Liechtenstein.

I Decreti Beneš e il comunismo in Cecoslovacchia


Alla fine della guerra in Cecoslovacchia si ricostituì un governo democratico. Nel 1945 i decreti Beneš sancirono l'espulsione dal suolo cecoslovacco degli abitanti "afferenti alla nazione tedesca" e la conseguente espropriazione dei loro beni immobili. La legge provocò una massiccia migrazione della popolazione tedesca dalla Cecoslovacchia. Il decreto colpì duramente i principi del Liechtenstein.

I principi, infatti, con questi decreti perdevano 1600 km quadrati di terre. Per intendersi 10 volte la superficie del principato del Liechtenstein. E perdevano anche 13 castelli disseminati tra Moravia, Boemia e Slovacchia. Una catastrofe per il casato. Vane furono le richieste dei principi.

Interrotti i rapporti con la Cecoslovacchia già nel 1938, tale decisione inasprì lo scontro tra le due parti. Tanto che negli anni del regime comunista cecoslovacco, instaurato nel 1948, fu vietato l'ingresso nel paese slavo dei cittadini del Liechtenstein. E lo stesso fece il principato. Uno scontro totale. I principi, privati dei loro possedimenti, si videro costretti a vendere parte della propria collezione artistica per fare fronte alle "difficoltà" economiche. Ad esempio misero all'asta il Ritratto di Ginevra Benci di Leonardo da Vinci, oggi al National Gallery of Washington (USA).

La situazione oggi


Il principe Hans Adam II
La fine della regime comunista ha cambiato la situazione. Intanto, i contendenti sono diventati 3 con la divisione del 1993 tra Repubblica Ceca e Slovacchia. Anche se per i Liechtenstein l'interesse prevalente era la riacquisizione delle proprietà in Moravia. Gradualmente le due parti si sono avvicinate fino al 2009. Il 13 luglio 2009 sono riprese ufficialmente le relazioni diplomatiche e commerciali. In un documento ufficiale i due stati hanno dichiarato la creazione di una commissione di storici allo scopo di studiare le relazioni tra il casato del principi del Liechtenstein e la Repubblica Ceca. Ciò non ha impedito all'attuale principe sovrano Hans Adam II di Liechtenstein di continuare a richiedere la restituzione delle proprie proprietà. La vicenda non è giunta, quindi, a conclusione, ma il passo compiuto nel 2009 è stato storico.

La meraviglia di Lednice-Valtice


Il castello di Lednice
Tra gli ex possedimenti dei principi del Liechtenstein spiccano per la sua bellezza e per la sua storia i castelli di Lednice e di Valtice. I due castelli, situati nella Moravia meridionale, non lontano dal confine austriaco, costituiscono un unico sito d'interesse storico-culturale. I due castelli e il parco che li unisce, sono stati inseriti nel 1996 nella lista dei Patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO. Grazie all'operato dei principi del Liechtenstein tra XVII secolo e XX secolo, il paesaggio circostante i due castelli è divenuto un esempio unico di convivenza tra arte e natura. Si tratta di uno dei paesaggi artificiali (circa 200 km quadrati) più estesi al mondo (più esteso dello stesso Principato del Liechtenstein!). Nei due castelli si uniscono in maniera armoniosa lo stile gotico delle origini con il neoclassicismo. Un luogo unico per il suo splendore, definito, a giusta ragione,  "il giardino d'Europa" . E ci credo, che i principi del Liechtenstein ci vorrebbero ritornare!






mercoledì 9 novembre 2016

Doonbeg: il paese del presidente Trump


Donald Trump ha vinto a sorpresa le elezioni presidenziali negli Usa. Ma questo già lo sapete. Quello che forse non sapete che il neo presidente eletto è anche il general manager, nonché il proprietario, dell'International Trump Hotel a Doonbeg (Clare County), in Irlanda, un suntuoso albergo a 5 stelle, dotato di ogni comodità. Niente di strano, è un multimiliardario ed i suoi interessi economici si estendono in tutto il mondo. Forse, ma non è così poichè, a detta del figlio di Donald, Eric Trump la gestione resort di Doonbeg rappresenta la prova che il padre sarà un ottimo presidente. Really?

International Trump Hotel a Doonbeg

L'International Trump Hotel a Doonbeg
L'International Trump Golf Links and Hotel, questo è il nome completo del resort irlandese, è quanto di meglio si possa immaginare in fatto di struttura alberghiera. Ad iniziare dalla suggestiva posizione che permette ai (fortunati) ospiti di godere dell'emozionante scenario dell'Oceano Atlantico. Situato appena fuori l'abitato di Doonbeg, in riva all'Oceano, vicino alle celeberrime spiagge bianche, White Strand, l'International Trump Hotel offre una vasta scelta di servizi. Donald Trump ha acquistato l'albergo nel 2014 alla cifra di saldo di 8,7 milioni di euro. Spiccioli.

Lussuose camere con servizio in camera, pacchetti vacanze in base alle esigenze del cliente, una favolosa Spa, fornita di ogni tipo di trattamento, cottages privati, escursioni guidate per ammirare le bellezze naturalistiche dell'isola di smeraldo, un parco giochi per i piccoli ospiti e l' immancabile campo da golf, dove fare due buche, cullati dall'incessante vento atlantico. Un esclusivo paradiso terrestre, insomma. Solo il prezzo può non essere alla portata delle tasche di tutti. Si parte, infatti, dai €190 a notte, per una singola, e si può raggiungere anche i €500 a notte. Se prenotate usufruendo dei pacchetti promozionali si può risparmiare qualcosa. Per chi fosse interessato questo è il sito internet:https://www.trumphotels.com/ireland/.
Tutto bene, quindi se Trump governerà come gestisce il resort di Doonbeg il futuro si prospetta roseo. Si prospetta roseo per chi è ricco e si potrà permettere il meglio in puro stile americano. Ma per gli altri?

Doonbeg e l'Irlanda

Prima, però, precisiamo meglio dove ci troviamo. Doonbeg è un piccolo villaggio di 750 abitanti, situato nel bel mezzo di uno dei tratti di costa più affascinanti in Irlanda. A due passi dalla White Strand e dalla Loop Head, non lontano dalle Cliffs of Moher e dal Burren. Nel cuore del County Clare e della Wild Atlantic Way. Fino agli anni '50 il piccolo paese la lingua parlata era l'irlandese. Gli abitanti, esposti alle intemperie oceaniche, vivevano di pesca. Doonbeg è stata una terra d'emigrazione. La bisnonna del prossimo vicepresidente Mike Pence, attuale governatore repubblicano dell'Indiana, emigrò a cercar fortuna negli Stati Uniti proprio dal villaggio del County Clare. Quanto si dice il caso.
Oggi, Doonbeg si è trasformata. Alla pesca si è sostituito il turismo. All'irlandese l'inglese. Solo il clima è  rimasto uguale.

Trump, Doonbeg, l'Irlanda

Manifesto elettorale satirico irlandese. Trump non è molto amato sull'isola
I rapporti di Trump con gli irlandesi non sono amichevoli. La causa è da ricercarsi nelle frasi non sempre appropriate rivolte dal tycoon statunitense verso i vicini gaelici. Trump ha, infatti, definito il suo resort "small potatoes". Non proprio un complimento. In più il presidente eletto ha avuto un pesante alterco con il Taoiseach, il primo ministro, Enda Kenny sulla vendita delle quote azionarie della compagnia di bandiera irlandese Aer Lingus. Kenny ha definito durante la campagna elettorale Usa Trump "come un politico pericoloso e razzista". Nello scorso giugno il Trump è stato accolto, al suo arrivo sull'isola, da critiche e manifestazioni di protesta.

Trump è, inoltre, contestato dagli ambientalisti locali. Il campo di golf, annesso all'hotel e costruito su impulso del miliardario statunitense ha, infatti, distrutto l'ecosistema naturale. Le dune naturali, modellate dalla forza del vento oceanico, sono state sostituite da orrende dune artificiali. Il riscaldamento globale, al quale il presidente eletto non crede nel modo più assoluto, ha compromesso la linea di costa ed ha eroso parte delle celebri spiagge bianche di Doonbeg. Fenomeni climatici sempre più estremi minacciano l'esistenza del campo di golf. La soluzione? Costruire un muro. La stessa ricetta da applicare contro l'immigrazione illegale. Erigere un muro sulla costa di Doonbeg permetterebbe di salvare il campo di golf di Trump, ma distruggerebbe in modo irreparabile la natura del luogo. Come si spiega in questo video:
 


Nella gestione del resort Trump si è dimostrato impeccabile. Ma attorno a lui in Irlanda si respira una netta freddezza. Nella gestione dei rapporti con gli irlandesi è stato disastroso. Per non parlare poi della vicenda ambientale che è paradossale. Avrà sicuramente ragione Eric Trump, ma fare il presidente degli Usa non è così semplice come mandare avanti un hotel a 5 stelle. E il futuro, se queste sono le premesse, si prospetta tutt'altro che roseo.



Jean-Michel Basquiat e SAMO©

Samo non è solo un'isola greca o un piccolo comune calabrese, ma è anche un nome che è entrato con prepotenza nella storia dell'arte del XX secolo.

Jean Michel Basquiat (1960-1988)
Jean Micheal Basquiat


 "Una notte stavamo fumando erba ed io dissi qualcosa sul fatto che fosse sempre la stessa merda, The Same Old Shit. SAMO, giusto? Immaginatevi: vendere pacchi di SAMO! È così che iniziò, come uno scherzo tra amici, e poi crebbe", così Basquiat descrive la nascita della sua tag SAMO. Una battuta di spirito, sotto l'effetto dell'erba, all'amico Al Diaz nel 1978. Jean Michel aveva 18 anni e la sua tag SAMO iniziò a infestare i muri di New York.

Furono quelli gli anni, tra la fine '70-primi '80, che videro la nascita della Street art. Sono gli anni di Futura 2000, Kenny Scharf, Richard Hambleton e Keith Haring con il suo celebre bambino radiante. La strada diventò una galleria d'arte. Si modificò la comunicazione artistica. Furono gli anni di SAMO.

La parabola artistica dell'artista statunitense fu brevissima. E luminosissima. E lo stesso si può dire di SAMO. La vita di Basquiat si concluse, infatti, nel 1988 con la prematura morte per overdose. Aveva 28 anni.

Nel 1977 Basquiat, con l'amico Al Diaz, cominciò a spargere con la loro tag SAMO a Manhattan, concentrandosi nei quartieri di Tribeca e Soho. Jean Michel aggiunge alla tag il simbolo del copyright. Una critica di due diciottenni, con problemi con le sostanze, contro la società capitalista che non li capisce?

Basquiat e Diaz non si limitarono soltanto a diffondere il loro tag, ma sotto il marchio di SAMO dettero voce alle proprie convinzioni. Quasi dei Tweet. In questi vi può leggere una critica alla società e i media americani.

-SAMO© saves idiots and gonzoids
SAMO© 4 mass media mindwash
Ma anche:

SAMO as an end to mindwash religion, nowhere politics and bogus philosophy

SAMO is neo form of art

SAMO is the King

The whole livery line bow like this with bigmoney all crushed into these feet

Critica, disagio giovanile, ansia comunicativa, uso di stupefacenti, ribellione generazionale ed adrenalina del rischio. Tutto questo è nel SAMO di Basquiat.

Nel 1980 l'attività dell'artista cambiò drasticamente. Dalle strade alle gallerie. SAMO is Dead, scrisse su un muro. Tuttavia l'elemento grafico, eredità dell'attività in strada, restò sempre presente nelle opere di Basquiat.

Per noi SAMo è la voglia di incidere in una realtà che non ascolta. Una realtà sovrabbondante di stimoli visivi e comunicativi, ma persa nel proprio solipsismo.










martedì 8 novembre 2016

Samo in Calabria


Samo non è solo un'isola greca del Mar Egeo orientale. Samo è anche un comune italiano in provincia di Reggio Calabria. L'abitato di Samo conta 800 abitanti e si trova a 90 km dal capoluogo provinciale. L'altitudine di Samo è 300 m sul livello del mare. Dall'isola di Samo al paese collinare di Samo.

La storia da Samo a Crepacore

Secondo quanto riporta Erodoto (V sec. a.C.) nelle Storie, l'abitato di Samo fu fondato nel 492 a.C. da alcuni coloni greci, provenienti dall'isola greca. Sfuggivano lontano dalla patria per scampare alle incursioni persiane.

Samo divenne un importante centro della Magna Grecia arrivando a contare fino a 80 mila abitanti. Si dotò di una possente flotta che permetteva ai samii continui scambi con la madrepatria. Dopo la conquista romana, i coloni samii penetrarono nell'entroterra calabrese e si stabilirono temporaneamente sulle pendici dell'Aspromonte per sfuggire alle devastazioni della seconda guerra punica. A Samo nacque Pitagora di Reggio (V secolo a.C.), bronzista e scultore attivo a Reggio Calabria. 
San Tommaso d'Aquino (1225-1274) riteneva che il filosofo Pitagora fosse nato non sull'isola di Samo, bensì nella Samo calabrese. Il caso di omonimia con il nome dello scultore e con il luogo di nascita ha generato equivoci.

Nel X secolo i samii si stabilirono definitivamente nell'entroterra per scampare alle incursioni saracene. Nel corso dei secoli Samo, divenuta capoluogo della baronia dei Marullo, mutò il nome in Crepacuore. Sintomo di una nostalgia per la lontana patria?

La leggenda narra che nel 1638, a seguito di un tremendo terremoto una donna, alla quale la scossa aveva ucciso il marito e i sette figli, gridò, in questo modo, il suo dolore: "vedere la mia Samo distrutta mi crepa il cuore". Nacque Crepacore. Il toponimo fu presto variato da Crepacore a Precacore. Nel 1911 Samo ritornò ad essere la denominazione ufficiale del paese.

Questo è il sito di Samo in Calabria: http://www.tuttosamo.it/.

La Samo calabrese, una storia da riscoprire.
Veduta aerea di Samo (RC)

L'isola di Samo

Francobollo dell'isola di Samo

Samo, l'isola dei vasi e del vino, cullata dalle dolci onde del Mar Egeo, è il simbolo di questo blog. Quindi, parliamo di Samo.

Samo in numeri

Samo, in greco Σάμος, è un'isola greca, situata nel Mar Egeo orientale. Soltanto 1,6 km la separa delle coste dell'Asia Minore, oggi Turchia. Ha una superficie di 477.2 km quadrati e una popolazione di 32 977 abitanti (2011). Samo, però, non la si comprende esaminando i freddi dati.

Samo, gli ioni e la tirannia di Policrate

La storia di Samo è la sua ricchezza. Attorno al 1000 a.C. le genti ioniche si insediarono sull'isola. Gli ioni, grazie alla loro sagacia mercantile, procurarono grandi floridezza all'isola, che divenne nei secoli successivi uno dei centri più importanti della realtà greca. La ricchezza dell'isola si basava sulla viticoltura e sulla produzione ceramista.
Nel VI secolo a. C. l'isola raggiunse il suo apogeo e la sua rovina. Policrate instaurò una ferrea tirannia (538-522 a.C.) sull'isola. L'egemonia di Policrate fu garantita dall'alleanza con il faraone Amasis II. Il tiranno iniziò un' incalzante guerra di conquista ai danni delle isole dell'Egeo. Lesbo, la città di Mileto e altre isole minore furono le sue vittime. L'età di Policrate fu anche un tempo di prosperità culturale: i celebri poeti Anacreonte e Ibico dimorarono sull'isola. Policrate fece costruire un acquedotto, che si conserva tutt'oggi, e un grande tempio dedicato a Era, la sua protrettice.
Molti samii, terrorizzati dal potere tirannico di Policrate, abbandonarono l'isola fondando nella Magna Grecia vicino a Cuma la città di Dicearchia. Dicearchia è conosciuta oggi con il nome romano di Pozzuoli.
Alla morte ldi Policrate 'isola entrò nell'orbita persiana perdendo la sua autonomia e il suo splendore. Altri figli di Samo, lontani dalla patria, erano destinati a fare grande il nome della loro patria: Pitagora, Aristarco e Epicuro.

Pitagora, Aristarco e Epicuro.

-Su Pitagora (570-495 circa a.C.) tanto si è scritto e detto nel corso dei secoli. Ed è impossibile distinguere l'uomo Pitagora dal suo mito. Nativo di Samo, si stabilì intorno al 530 a.C. a Crotone, dove fondò la famosa Scuola Pitagorica. Qui, in una commistione tra misticismo e religione, insegnò ai suoi allievi le sue dottrine. Coniò secondo la tradizione il termine φιλοσοφία. Pitagora è forse l'intellettuale che più di tutti ha influenzato, insieme a Platone e Aristotele, la storia del pensiero occidentale.

-Aristarco di Samo (310-230 circa a.C.), astronomo, studiò ad Alessandria. Fu uno dei primi studiosi a sostenere la teoria eliocentrica. Più di 1800 anni prima di Niccolò Copernico. Misurò la distanza della Terra dal Sole e dalla Luna e ne calcolò la rispettiva grandezza. Un pioniere dimenticato.

-Epicuro (342-270 circa a.C.), filosofo, è una delle figure più interessanti dell'Ellenismo. Nato a Samo, fondò ad Atene una scuola filosofica, aperta a tutti, anche agli schiavi e alle donne. Nel giardino, in greco κῆπος, in un ambiente amichevole e giovale, predicò il suo tollerante pensiero filosofico.

Tutto questo (e molto di più) è Samo. In breve. Non vi preoccupate ci ritorneremo presto.

Samo è l'isola dove s'incontrano tutte queste personalità. Una terra di confronto, di confine, di bellezza e di curiosità.

Allora salpiamo verso Samo!
Veduta dell'isola di Samo

lunedì 7 novembre 2016

Portare i vasi a Samo, la bellezza dell'inutilità




"Portare i vasi a Samo" è un'espressione proverbiale che significa: "portare qualcosa proprio dove ce n'è in grande abbondanza, fare o dire cose inutili, superflue" La definizione è tratta dall'Enciclopedia Treccani e quindi non ci si sbaglia.

L'espressione nasce dal fatto che Samo era uno dei centri più importanti nell'Antica Grecia per la produzione fittile. Ed è, quindi, inutile aggiungere dove c'è abbondanza.

Noi viviamo come se fossimo a Samo, abbiamo tutto in abbondanza. Dai beni materiali ai comforts moderni. Allora, è utile portare altri vasi a Samo? Si, è utile.

Perché l'inutilità del gesto ci fa apprezzare cosa abbiamo. Dai beni materiali alla sostanza immateriale.

Viviamo in mondo ultra-connesso, sovraccarichi di notizie e informazioni. Allora, è utile portare altri vasi a Samo? Si, è utile.

Perché l'inutilità del gesto ci fa apprezzare ciò che abbiamo davanti tutti i giorni.

Con questo blog si proverà ad aggiungere dei "vasi" a quelli che già sono a Samo.

Allora partiamo verso l'isola greca di Samo.

Novità seguiranno. Stay tuned!